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venerdì 26 giugno 2015

Di donne, di streghe, di scope e cappelli

Forse sono io a essere troppo seria o forse no, forse prendo le cose un po' "di petto", ma quando si parla di streghe, di donne, di inquisizione e paesini turistici mi infiammo facilmente.
Nel bellissimo entroterra della provincia di Imperia, in Liguria, c'è un paesino appeso sulla cima di un colle. In questo paese, come in tanti altri, un tempo successero fatti angoscianti e tremendi. Sto parlando di Triora, considerata la Salem d'Italia, dove sul finire del Cinquecento si scatenò uno dei più importanti processi contro le streghe.
A cosa vi fa pensare la parola "strega"? Ai più credo che susciti sensazioni negative, come darvi torto? In fondo questo termine è nato in senso dispregiativo e ancora oggi viene usato per etichettare in qualche modo una persona malvagia, con intenti tutt'altro che buoni. Nei nostri tempi moderni, poi, ci immaginiamo fin troppo bene le streghe: cappello a punta, abito nero, naso lungo, verruche, gobba, unghie lunghe e appuntite... i cliché non si sprecano di certo. Spesso però mi chiedo se qualcuno si fermi a pensare a chi dovessero essere veramente quelle donne, a che aspetto avessero nella realtà, e non nella fantasia popolare ingigantitasi fino ai giorni nostri.
Che poi non si parla mica solo di donne! Strega poteva essere anche un uomo, e ci sono testimonianze di uomini accusati di praticare la stregoneria. Ed ecco che già si comincia a sfatare il mito. 
Vi sarà capitato una volta nella vita di girare in qualche negozietto di souvenir e trovare la classica "befana", pronta per essere acquistata e regalata a qualcuno. Forse vi sarà capitato di trovarla proprio in una cittadina che in qualche modo avesse una leggenda o una storia legata alla stregoneria. Ebbene, quella befana col fazzoletto in testa, stracci al posto dei vestiti e la scopa sottogamba è diventato ormai uno degli emblemi di Triora, così come di tanti altri paesini che ne condividono la triste storia. 
Spesso mi sono chiesta come mai, in un paese in cui donne (e anche uomini, ricordiamolo) sono state torturate senza pietà, dove il dolore del passato riecheggia ancora tra le vecchie mura, ci si ostini a vedere solo la parte "fiabesca" della storia. Ma di fiabesco che cosa c'è esattamente? 
Badate, la mia non vuole essere una critica verso Triora, i suoi negozi, verso chi vende gadget... questo vuole essere solo uno spunto di riflessione, perché a sbagliare non è Triora in quanto tale, l'errore sta nella mentalità di ognuno di noi e nel non saper più osservare con attenzione, non avere più l'interesse di informarsi. 
Per farvi comprendere meglio quello che intendo, devo fare una premessa storica; perdonatemi, ma è necessaria. Andiamo dunque ad addentrarci in quella fiaba che fiaba non è, ambientata in un tempo lontano, in un paese chiamato Triora.

La storia di questo paese è molto antica: già nel Neolitico nella zona dove oggi sorge il borgo medioevale sono documentati degli insediamenti umani, dei quali ci rimangono alcuni resti. Venne sottomessa all'Impero Romano, poi divenne un feudo della repubblica genovese.
Pare che sotto la chiesa della Collegiata, in centro al paese, un tempo sorgesse un tempio pagano; anche un menhir al Passo della Mezzaluna, non distante dal borgo, testimonia gli antichi culti fortemente sentiti in questa valle.
Il nome "Triora" deriva dal latino "tria ora" che letteralmente significa "tre bocche", quelle del Cerbero rappresentato nello stemma del paese. Triora divenne famosa alla fine del Cinquecento, quando finì nell'occhio del ciclone a causa del processo alle streghe voluto dall'Inquisizione.
Ancora oggi l'eco di quei giorni rimbomba tra le mura della città, e anche il visitatore meno documentato, aggirandosi tra le viuzze strette e tortuose, ne subisce il terribile fascino. Ma cosa successe esattamente? Perché ancora oggi questo borgo medievale continua a far parlare di sè?
Era la fine dell'estate del 1587; da ormai due anni la carestia devastava il paese e la causa di questa piaga insopportabile non potevano che essere le streghe, donne malefiche che si aggiravano per le vie della città a gettare incantesimi e a fare pozioni durante la notte. Come se non bastasse, alcuni affermavano che fossero anche infanticide.
Con queste accuse si aprì uno dei più atroci processi alle streghe d'Italia. In realtà  oggi si sa per certo che Triora non fu mai colpita da una carestia, visto e considerato che la città inviava parecchi viveri a Genova, tanto da essere nominata "granaio della repubblica".  L'ipotesi più probabile è quella che i nobili di Triora imposero tasse maggiori sugli alimenti agli abitanti del paese, che si trovarono così a morire di fame, e a fare da capro espiatorio al malcontento crescente erano le streghe, le donne più povere che abitavano fuori dalle mure dalla città.
Nell'ottobre del 1588, dunque, il Parlamento locale diede il via al processo e l'autorità ecclesiastica non tardò a intervenire. Vennero confiscate alcune abitazioni private per essere adibite a prigioni; venti donne furono incarcerate, si procedette alla tortura e le accuse estorte durante gli interrogatori portarono in carcere altre donne. Bastava davvero poco per essere accusati di stregoneria e a Triora gli abitanti presero ad additarsi l'un l'altro, scatenando un vero pandemonio. Se una donna suscitava le invidie o le ire di qualcuno, sbarazzarsi di lei era molto semplice: bastava accusarla di essere una strega, imputandole malefatte di ogni genere, e subito quella veniva incarcerata e torturata.
La prima vittima dell'Inquisizione fu la sessantenne Isotta Stella, morta agonizzante dopo le torture, seguita da una seconda donna che cadde nel tentativo di calarsi giù da una delle finestre della sua prigione. Nel popolo cominciò a serpeggiare un certo malumore, poichè il tanto invocato intervento delle autorità iniziava a spaventare per la sua ferocia. Infatti, non furono solo le povere contadine a essere incarcerate: tra le presunte streghe c'erano anche delle nobildonne. La situazione stava pian piano degenerando e gli Anziani decisero di chiedere che il processo venisse sospeso poiché non garantiva più alcun tipo di giustizia. Nella loro lettera al Doge di Genova scrissero come la stessa Isotta morì sotto tortura, dopo aver confessato disperatamente di essere una strega. I suoi torturatori sostenevano che la donna, aiutata dalle sue arti magiche, sopportava il supplizio arrivando addirittura ad addormentarsi. 
In seguito alle lamentele, gli inquisitori partirono da Triora, ma lasciarono le accusate in carcere. Il governo genovese si accorse che quelle donne rischiavano di rimanere in prigione per molto tempo, lasciando la questione in sospeso. Nei primi giorni di maggio giunse a Triora l’Inquisitore Capo per visitare le donne in carcere e accertarsi della situazione. Tutte, eccetto una, negarono quanto avevano ammesso prima. Rimasero tutte in carcere, eccetto una ragazzina di 13 anni che venne lasciata libera. Il processo si protrasse per altri mesi, finché giunse a Triora un commissario speciale, Scribani, inviato da Genova. Il commissario intendeva sradicare il morbo malefico insediatosi in paese e che sembrava coinvolgere gran parte dei suoi abitanti; inviò così tredici donne e un uomo nel carcere di Genova, accusati di stregoneria. Aprì nuovi casi intorno alla zona di Triora, mandando al patibolo donne innocenti, dopo averle sottoposte a tremende torture.
Una di queste, che viene ricordata ancora oggi, è Franchetta Borelli, che venne torturata al cavalletto dallo stesso Scribani per più di un giorno. Franchetta era di famiglia nobile. Le cronache dell'epoca la descrivono come una donna di bell'aspetto ed economicamente benestante, seppure nubile. La donna venne chiamata in causa da altre compaesane. Dopo ore di interminabili torture, confessò alcune colpe, sperando di essere lasciata in pace, poi si chiuse nel silenzio. E' passata alla storia la testimonianza di una frase da lei pronunciata, indicativa della situazione e delle sofferenze a cui le presunte streghe erano sottoposte: "Io stringo i denti e diranno che rido". Sotto cauzione, pagata dal fratello, a Franchetta furono concessi gli arresti domiciliari, ma la poverina decise di fuggire, cosa che insospettì lo Scribani, che per poco non incolpò un conoscente della stessa Franchetta per averla aiutata. La donna decise a quel punto di tornare in paese e andare incontro al suo destino. Gli atti del processo riportano le ventuno ore di interrogatorio e torture, durante le quali la donna alternava il silenzio e momenti di sconforto a momenti in cui esprimeva pensieri innocenti. Non si sa come finì la sua storia da strega, ma i documenti attestano la sua morte parecchi anni dopo il processo e fu sepolta in terra consacrata, cosa che fa ben sperare sulla sua triste storia.
Lo Scribani, dunque, disilluse le aspettative generali, portando nel paese una nuova ventata di terrore. Le accuse che egli mosse alle donne furono sempre sostanzialmente tre: reato contro Dio, commercio con il demonio, omicidio di donne e bambini. Venuto a conoscenza dell'operato dello Scrivani, il Doge di Genova gli raccomandò di occuparsi solo della giustizia, tralasciando le accuse che erano di materia dell'Inquisizione. Allo Scribani non rimase che rifare i processi, arrivando alla condanna a morte di quattro streghe nei dintorni di Triora. Avvenne così il trasporto a Genova delle cinque accusate, che partirono dal borgo nell'ottobre del 1588. Viaggiarono per mare e una volta arrivate a Genova vennero messe nelle carceri. Queste si andarono ad aggiungere alle prime tredici già incarcerate e lì trasportate. Delle prime tredici non si conosce la sorte e c'è la possibilità che alcune fossero state rimandate già a Triora  perché ritenute innocenti.
Nell'aprile 1589 si incominciò a intravedere la luce: alcuni cardinali fecero giungere l'ordine di chiusura dei processi e in poco tempo l'Inquisizione si ritirò.
Ma che fine fecero le donne ancora incarcerate? Vennero lasciate libere o rimasero in prigione fino alla fine dei loro giorni? Nessuno lo sa, perché da quel momento in poi mancano documenti ufficiali che possano fare luce sulla loro sorte. Alcuni sostengono che furono lasciate libere e la prova di questa affermazione sarebbe leggibile nei registri parrocchiali di un paese non lontano da Triora, dove, dal 1600 in poi, compare il cognome Bazoro o Bazura, che richiama inequivocabilmente la parola "bagiùa", espressione dialettale con cui venivano chiamate le streghe a Triora.

Ed eccovi dunque, nuda e cruda, la storia di Triora, quella che oggi quasi viene confusa davvero per una fiaba.
Girando per le vie del borgo, mi sono accorta spesso della superficialità della gente, che ancora oggi crede fermamente che quelle accusate fossero streghe figlie del demonio.
Ecco allora che entrano in gioco le befane di cui vi parlavo poco fa: visitando questi luoghi così intrisi di storia, di dolore e, perché no, di orrore, vorrei sapere in quanti si fermano a pensare a chi fossero realmente quelle donne e a cosa direbbero oggi se si vedessero rappresentate in una befana su una scopa di saggina. 
Dovremmo fermarci a pensare ai luoghi sui quali camminiamo, rispettando il silenzio carico di parole che aleggia tra le vie tortuose del borgo, anziché schiamazzare e fare battute di cattivo gusto. Dovremmo riflettere sul fatto che le pietre che stiamo calpestando sono più vecchie di noi e  conservano ancora il ricordo delle urla di quelle donne disperate che furono private della dignità, della libertà e della vita. I luoghi come Triora hanno molto da comunicare al mondo, possono insegnare ancora qualcosa, è solo il nostro sguardo a dover cambiare direzione.
Queste donne altro non erano che abili levatrici, esperte conoscitrici delle erbe e delle tecniche di guarigione e per queste loro inaccettabili conoscenze vennero crudelmente accusate di stregoneria e di stringere patti con il diavolo. Sulla figura del demonio, poi, ci sarebbe un capitolo a parte da aprire, dato che di per sé il diavolo non esiste, e la sua rappresentazione con corna e sembianze caprine deriva da un'antica e benevola divinità delle foreste, demonizzata poi dal cristianesimo.
In un mondo antico e spietato, dove solo il più forte poteva avere la meglio, dove i ritmi erano più lenti dei nostri e dove bisognava fare affidamento unicamente sulle proprie forze e sulla benevolenza di Madre Natura, era naturale affidarsi ai poteri delle erbe per curare malanni e risolvere problemi. Le donne, custodi del focolare domestico, conoscevano i metodi per calmare la tosse, curare l'infertilità e dare sollievo ai neonati. In molte parti d'Italia e del mondo alcune tradizioni sono ancora molto vive, tramandate di generazione in generazione da tempi lontanissimi, quindi non c'è da stupirsi della conoscenza di queste donne. Quello che deve suscitare stupore, piuttosto, è l'inettitudine delle persone e l'incapacità di noi uomini moderni di vedere oltre e di imparare a rispettare il passato, senza ridicolizzarlo né sminuirlo.
Ricordiamoci che le streghe non sono morte. A Triora sopravvivono nei gesti e nelle abitudini quotidiane, tra i muri, nelle foreste e presso le sorgenti della magica Valle Argentina, questo ve lo posso assicurare, dato che ci sono stata di persona. Streghe ce ne sono ancora tra quelle antiche mura, un occhio attento se ne accorge facilmente per le offerte che vengono lasciate a ogni angolo. Ma le streghe, sagge e silenziose, camminano anche nelle strade affollate della città, e di certo non portano cappelli a punta né si muovono su scope volanti.
Spesso essere strega significa semplicemente avere una sensibilità diversa da quella altrui, percorrere sentieri dell'anima sconosciuti ai più ed essere fatte di puro Amore.
Adesso ditemi se tutto questo può rimandare a nasi adunchi, gobbe e risate gracchianti...

Fonti:
- Pensieri miei sparsi
- "I Segreti di Triora - il potere del luogo, le streghe e l'ombra del boia", Maria Antonietta Breda, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Mursia ed. 

2 commenti:

  1. Io l'ho sempre detto che a Triora prima o poi devo andarci <3

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    1. Io l'adoro, ormai lo sai <3 anche se spesso mi arrabbio per molte cose che non mi piacciono, ma questa è un'altra storia =P

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